In molti ambienti esiste una regola non scritta che
vale più di tanti codici: “se parli di pace e di guerra cerca il più generico
possibile, evitando di creare imbarazzo in chi ti ascolta”.
Non è questo il
caso della mozione comunale approvata
dal comune di Assisi a fine 2018 e già adottata da altri consigli comunali, a
partire inaspettatamente a febbraio 2019 da quello di Roma. Nella istanza ci si impegna a far di tutto per
fermare l’invio in Arabia Saudita delle bombe d’aereo fabbricate in Italia,
chiamando in causa le responsabilità di governo, parlamento e ovviamente del
presidente della Repubblica come massima
autorità e garante della comunità nazionale.
La richiesta era stata già avanzata con una lettera a Mattarella firmata
congiuntamente il 27 gennaio 2018 dalla sindaco Stefania Proietti assieme al
vescovo di Assisi Domenico Sorrentino con Pro Civitate Christiana, Libera e
Movimento dei Focolari.
L’invio di armi ai Paesi in guerra è proibito dalla
legge 185/90 in linea con la Costituzione del 1948. L’attacco sistematico
contro questa normativa è partito il giorno seguente alla sua approvazione,
quando cioè si è deciso di non finanziare i capitoli di spesa necessari a
sostenere reali percorsi di riconversione industriale ed economica.
Non ci si può risvegliare di colpo e pretendere che
la tedesca Rheinmetall Defence cambi la tipologia di produzione affidata alla
Rwm Italia situata nel territorio del Sulcis Iglesiente martirizzato da una
crisi economica senza fine.
Non esistono piani regionali e nazionali di
investimenti per una diversa politica industriale capace di mettere a sistema
il mondo della ricerca, delle imprese e della società civile. È un dato di
fatto la scelta prevalente di attirare capitali disposti ad investire, senza
farsi troppi problemi sulla strategia della produzione.
Emblematica in tal
senso la vicenda di Santu Miali a Furtei e cioè di una miniera d’oro presente sull’isola, data in
concessione ad una multinazionale canadese che ha lasciato 530 ettari di
terreno inquinato.
Se si volesse davvero si potrebbe generare lavoro e
ricchezza da redistribuire in una regione che è molto di più di una miniera
preziosa. Ne è convinta la sindaco di Assisi che, tra l’altro, insegna
ingegneria ambientale in ambito universitario e riporta spesso il caso di
imprese umbre dell’energia pulita ostacolate nei loro piani di investimento in
Sardegna.
Quando la Cei ha promosso a Cagliari, nell’ottobre
2017, la Settimana sociale dei cattolici
italiani dedicata al lavoro, si sarebbe potuto mettere intorno al tavolo
economisti e studiosi vari per offrire un contributo originale e credibile
davanti ad un caso emblematico come quello del ricatto occupazionale esercitato
dalla multinazionale tedesca delle armi. Così non è avvenuto come invece
avevano chiesto con apposita istanza alcuni delegati, compreso il vescovo
Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi, con l’occasione della
presenza all’evento, prima di partire per l’Arabia Saudita, dell’allora
presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Era presente all’assise dei cattolici
italiani anche Antonio Tajani, esponete di centrodestra e presidente di quel
Parlamento europeo che ha votato risoluzioni esplicite che invitano i Paesi
membri a interrompere la fornitura di armi a ogni parte in conflitto nel
disastro in corso in Yemen.
Bisogna saper esercitare la pazienza ed attendere i
tempi del discernimento per arrivare a dicembre 2018 ad uno straordinario
documento di tutti i vescovi sardi che prendono posizione a favore di un lavoro
generativo di vita e non di morte. Nel frattempo, tuttavia, la direzione della
Rwm Italia ha chiesto di ampliare il corpo della fabbrica prevedendo l’aumento
della produzione, non trovando più l’opposizione, espressa nel luglio
2017, del comune di Iglesias dove
recentemente si è insediata una nuova giunta di diverso orientamento. Come
sanno i think tank del settore, i maggiori acquirenti dei sistemi d’arma
tendono ad acquisire conoscenze e nuove tecnologie per far crescere tale tipo
di industria nei loro Paesi. E tuttavia la prospettiva di avviarsi verso una
ulteriore desertificazione industriale, senza alternative praticabili non
sembra turbare chi governa avendo come orizzonte il breve termine.
In Italia tanti lavoratori vivono nel terrore di
centri direzionali collocati chissà dove che, da un momento all’altro, decidono
di chiudere e delocalizzare senza pietà. Il ministero dello Sviluppo economico
è pieno di dossier di questo tipo, con i sindacati intenti a ridurre un danno
che non possono impedire. Una vera politica
industriale ha bisogno di investimenti mirati, l’impegno delle parti sociali,
il coinvolgimento dei centri di ricerca e delle università. Se tutto ciò non
avviene a livello di politiche nazionali e regionali si arriva alla flebile e
tardiva dichiarazione contro la produzione di bombe sul territorio sardo da parte di Francesco Pigliaru poco
prima di cedere il posto di presidente di Regione al leghista Christian
Solinas.
È il vuoto di orizzonte della classe dirigente di un
Paese a far prevalere il peso delle alleanze militari internazionali con gli
Usa e il ruolo decisivo dell’Arabia Saudita, secondo acquirente mondiale di
armamenti, come motivazione sufficiente
per il cosiddetto realismo politico dei governi italiani di diverso colore.
Solo pochi voti di coscienza si sono contrapposti
alla linea del Pd contraria alle mozioni parlamentari che nel settembre 2017
chiedevano di seguire le indicazioni del Parlamento europeo sulla chiusura dei
canali di rifornimento di armi pesanti all’Arabia Saudita. Oggi il governo Lega
M5S produce prese di posizioni così contraddittorie da non produrre alcun
cambiamento. Anzi, si teme che l’annunciata correzione della legge 185/90 possa
peggiore l’impianto costituzionale della norma, come avvenuto più volte di
recente.
È in tale contesto che assume una valore politico
originale la proposta di portare, con la “Mozione Assisi” la discussione sul
ripudio della guerra dentro i consigli comunali delle nostre città a partire da
un’azione della società civile attiva e responsabile. L’unica capace di opporsi
al prevalere della logica del complesso militare industriale come riconobbe nel
1961 il generale Eisenhower rivolgendosi alla Nazione nel discorso d’addio come
presidente della potenza statunitense.
Ma l’intuizione profonda che ha mosso la
proposta della mozione ad Assisi, e negli altri comuni che la stanno adottando,
è la visione dell’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira sul senso delle
città che “non sono cumuli occasionali di pietre” e che “nessuno può avere il
diritto di distruggere”. Trovandosi
negli emicicli dei consigli comunali si può ritrovare la vocazione originaria
di una politica che sa riconoscere il fondamento della convivenza, l’orrore alla
giustificazione della fornitura di armi destinate a fare strage di innocenti.
Si ridesta un senso dell’umano che va oltre l’appartenenza politica.
Dopo
Assisi, la mozione è stata approvata, in due mesi, dai consigli comunali di
Cagliari, Bologna, Verona, Porto Mantovano, Barletta, Firenze e Roma. Altri
comuni stanno chiedendo come fare per aderire. E intanto per il 28 marzo si
prevede nella città di san Francesco un primo solenne incontro pubblico tra le
città che si riconoscono nella “Mozione Assisi” che, in diverso modo, può
essere fatta propria anche a livello internazionale.
La Pira si rivolgeva concretamente, davanti
all’apocalisse atomica, a tutte le città del mondo. Cosa impedisce, ad esempio,
alle città italiane e tedesche di rifondare il patto europeo su radici di
fraternità decidendo di promuovere un’economia virtuosa nei territori, come il
Sulcis Iglesiente, attraversato da una grave crisi? Possiamo revocare assieme stragi
del nostro recente passato, come quella di Marzabotto, e ignorare ciò che
accade adesso in un Paese dove le bombe cadono su scuole e ospedali? Da
Francesco arriva sempre la pretesa della vera letizia, quella capace di mutare
il male in bene.
Aggiornamenti sulla pagina facebook Economia
disarmata
Carlo Cefaloni sul mensile Mosaico di pace di aprile 2019
Nessun commento:
Posta un commento