martedì 7 maggio 2019

Prigionieri di un preteso realismo politico






In molti ambienti esiste una regola non scritta che vale più di tanti codici: “se parli di pace e di guerra cerca il più generico possibile, evitando di creare imbarazzo in chi ti ascolta”. 

Non è questo il caso  della mozione comunale approvata dal comune di Assisi a fine 2018 e già adottata da altri consigli comunali, a partire inaspettatamente a febbraio 2019 da quello di Roma. Nella istanza ci si impegna a far di tutto per fermare l’invio in Arabia Saudita delle bombe d’aereo fabbricate in Italia, chiamando in causa le responsabilità di governo, parlamento e ovviamente del presidente della Repubblica come  massima autorità e garante della comunità nazionale.  La richiesta era stata già avanzata con una lettera a Mattarella firmata congiuntamente il 27 gennaio 2018 dalla sindaco Stefania Proietti assieme al vescovo di Assisi Domenico Sorrentino con Pro Civitate Christiana, Libera e Movimento dei Focolari. 
 
L’invio di armi ai Paesi in guerra è proibito dalla legge 185/90 in linea con la Costituzione del 1948. L’attacco sistematico contro questa normativa è partito il giorno seguente alla sua approvazione, quando cioè si è deciso di non finanziare i capitoli di spesa necessari a sostenere reali percorsi di riconversione industriale ed economica.

Non ci si può risvegliare di colpo e pretendere che la tedesca Rheinmetall Defence cambi la tipologia di produzione affidata alla Rwm Italia situata nel territorio del Sulcis Iglesiente martirizzato da una crisi economica senza fine. 

Non esistono piani regionali e nazionali di investimenti per una diversa politica industriale capace di mettere a sistema il mondo della ricerca, delle imprese e della società civile. È un dato di fatto la scelta prevalente di attirare capitali disposti ad investire, senza farsi troppi problemi sulla strategia della produzione. 

Emblematica in tal senso la vicenda di Santu Miali a Furtei e cioè di una  miniera d’oro presente sull’isola, data in concessione ad una multinazionale canadese che ha lasciato 530 ettari di terreno inquinato.
Se si volesse davvero si potrebbe generare lavoro e ricchezza da redistribuire in una regione che è molto di più di una miniera preziosa. Ne è convinta la sindaco di Assisi che, tra l’altro, insegna ingegneria ambientale in ambito universitario e riporta spesso il caso di imprese umbre dell’energia pulita ostacolate nei loro piani di investimento in Sardegna.  



Quando la Cei ha promosso a Cagliari, nell’ottobre 2017,  la Settimana sociale dei cattolici italiani dedicata al lavoro, si sarebbe potuto mettere intorno al tavolo economisti e studiosi vari per offrire un contributo originale e credibile davanti ad un caso emblematico come quello del ricatto occupazionale esercitato dalla multinazionale tedesca delle armi. Così non è avvenuto come invece avevano chiesto con apposita istanza alcuni delegati, compreso il vescovo Giovanni Ricchiuti, presidente nazionale di Pax Christi, con l’occasione della presenza all’evento, prima di partire per l’Arabia Saudita, dell’allora presidente del consiglio Paolo Gentiloni. Era presente all’assise dei cattolici italiani anche Antonio Tajani, esponete di centrodestra e presidente di quel Parlamento europeo che ha votato risoluzioni esplicite che invitano i Paesi membri a interrompere la fornitura di armi a ogni parte in conflitto nel disastro in corso in Yemen.

Bisogna saper esercitare la pazienza ed attendere i tempi del discernimento per arrivare a dicembre 2018 ad uno straordinario documento di tutti i vescovi sardi che prendono posizione a favore di un lavoro generativo di vita e non di morte. Nel frattempo, tuttavia, la direzione della Rwm Italia ha chiesto di ampliare il corpo della fabbrica prevedendo l’aumento della produzione, non trovando più l’opposizione, espressa nel luglio 2017,  del comune di Iglesias dove recentemente si è insediata una nuova giunta di diverso orientamento. Come sanno i think tank del settore, i maggiori acquirenti dei sistemi d’arma tendono ad acquisire conoscenze e nuove tecnologie per far crescere tale tipo di industria nei loro Paesi. E tuttavia la prospettiva di avviarsi verso una ulteriore desertificazione industriale, senza alternative praticabili non sembra turbare chi governa avendo come orizzonte il breve termine. 

In Italia tanti lavoratori vivono nel terrore di centri direzionali collocati chissà dove che, da un momento all’altro, decidono di chiudere e delocalizzare senza pietà. Il ministero dello Sviluppo economico è pieno di dossier di questo tipo, con i sindacati intenti a ridurre un danno che non possono impedire. Una vera  politica industriale ha bisogno di investimenti mirati, l’impegno delle parti sociali, il coinvolgimento dei centri di ricerca e delle università. Se tutto ciò non avviene a livello di politiche nazionali e regionali si arriva alla flebile e tardiva dichiarazione contro la produzione di bombe sul territorio  sardo da parte di Francesco Pigliaru poco prima di cedere il posto di presidente di Regione al leghista Christian Solinas. 

È il vuoto di orizzonte della classe dirigente di un Paese a far prevalere il peso delle alleanze militari internazionali con gli Usa e il ruolo decisivo dell’Arabia Saudita, secondo acquirente mondiale di armamenti, come motivazione  sufficiente per il cosiddetto realismo politico dei governi italiani di diverso colore.
Solo pochi voti di coscienza si sono contrapposti alla linea del Pd contraria alle mozioni parlamentari che nel settembre 2017 chiedevano di seguire le indicazioni del Parlamento europeo sulla chiusura dei canali di rifornimento di armi pesanti all’Arabia Saudita. Oggi il governo Lega M5S produce prese di posizioni così contraddittorie da non produrre alcun cambiamento. Anzi, si teme che l’annunciata correzione della legge 185/90 possa peggiore l’impianto costituzionale della norma, come avvenuto più volte di recente. 

È in tale contesto che assume una valore politico originale la proposta di portare, con la “Mozione Assisi” la discussione sul ripudio della guerra dentro i consigli comunali delle nostre città a partire da un’azione della società civile attiva e responsabile. L’unica capace di opporsi al prevalere della logica del complesso militare industriale come riconobbe nel 1961 il generale Eisenhower rivolgendosi alla Nazione nel discorso d’addio come presidente della potenza statunitense. 

Ma l’intuizione profonda che ha mosso la proposta della mozione ad Assisi, e negli altri comuni che la stanno adottando, è la visione dell’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira sul senso delle città che “non sono cumuli occasionali di pietre” e che “nessuno può avere il diritto di distruggere”.  Trovandosi negli emicicli dei consigli comunali si può ritrovare la vocazione originaria di una politica che sa riconoscere il fondamento della convivenza, l’orrore alla giustificazione della fornitura di armi destinate a fare strage di innocenti. Si ridesta un senso dell’umano che va oltre l’appartenenza politica. 

Dopo Assisi, la mozione è stata approvata, in due mesi, dai consigli comunali di Cagliari, Bologna, Verona, Porto Mantovano, Barletta, Firenze e Roma. Altri comuni stanno chiedendo come fare per aderire. E intanto per il 28 marzo si prevede nella città di san Francesco un primo solenne incontro pubblico tra le città che si riconoscono nella “Mozione Assisi” che, in diverso modo, può essere fatta propria anche a livello internazionale.

La Pira si rivolgeva concretamente, davanti all’apocalisse atomica, a tutte le città del mondo. Cosa impedisce, ad esempio, alle città italiane e tedesche di rifondare il patto europeo su radici di fraternità decidendo di promuovere un’economia virtuosa nei territori, come il Sulcis Iglesiente, attraversato da una grave crisi? Possiamo revocare assieme stragi del nostro recente passato, come quella di Marzabotto, e ignorare ciò che accade adesso in un Paese dove le bombe cadono su scuole e ospedali? Da Francesco arriva sempre la pretesa della vera letizia, quella capace di mutare il male in bene.    
Aggiornamenti sulla pagina facebook Economia disarmata 

Carlo Cefaloni sul mensile  Mosaico di pace di aprile 2019

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