mercoledì 8 maggio 2019

Pratica dell'utopia possibile





Intervento di Arnaldo Scarpa, coportavoce del Comitato Riconversione Rwm, al seminario del primo marzo 2019 Aula gruppi parlamentari della Camera dei Deputati su "Produzione e commercio di armi. La nostra responsabilità"

, Devo registrare che la posizione della categoria dei chimici a livello provinciale Sulcis-Iglesiente e Sud Sardegna è distante e distinta da quella che c'è stata rappresentata stamattina dal rappresentante del livello nazionale della CGIL, la quale, nel suo ultimo congresso nazionale, ha approvato all'unanimità un documento in cui si indica con forza la necessità di una riconversione della fabbrica di bombe di cui stiamo parlando, e dico fabbrica di bombe perché spesso viene inserito nel discorso del fatto che questa fabbrica faccia anche altro, che sia in qualche modo un elemento di eccellenza della produzione tecnologica italiana ma non è così: la la fabbrica per il 90% vende bombe, per il resto vende altri manufatti tecnologici ma la cui importanza, dal punto di vista del fatturato, è molto ridotta.
Questa fabbrica nasce da una riconversione, quindi dire che non si può riconvertire è una contraddizione; fino al 2000 faceva esplosivi per uso civile, di quelli che potevano anche ammazzare qualcuno se qualcosa andava male nei processi di produzione dell'industria mineraria, ma sicuramente non erano prodotti con la finalità di ammazzare nessuno.
Adesso la fabbrica produce ordigni, tecnologici quanto vogliamo - poco perché si tratta di brevetti degli anni ottanta - ma che sono fatti esplicitamente ed esclusivamente per ammazzare la gente.
Questa è una cosa da registrare che smaschera anche un'ipocrisia: quella che, davanti a produzioni come questa, si possa parlare di settore della difesa. Sicuramente quel tipo di produzione non difende la Repubblica italiana ma, non serve a difendere neanche nessun altro Paese!
Quella che si sta consumando in Yemen è una guerra d'attacco: la guerra di una coalizione che va in soccorso di un Paese amico – anzi, diciamo meglio, il cui governo era amico - e che va in soccorso di questo governo contro dei ribelli che sono amici di altri governi che sono considerati nemici da quella coalizione.
Noi, con tutto questo, come Italia, non abbiamo niente a che fare, come sardi ancora di meno, eppure siamo coinvolti fino sopra la nostra testa.
 
Insomma è proprio dalla percezione di un odioso coinvolgimento della nostra comunità civile che nasce il Comitato per la Riconversione. Nasce in applicazione di quel pensiero di Martin Luther King che veniva citato stamattina: “forse non siete responsabili della situazione che state vivendo ma, se non fate niente per cambiarla, lo diventerete”.
Si tratta di un concetto a cui non si può sottrarre nessuno di noi. Non siamo in un tempo in cui si possa far finta di niente, si possa non sapere. Le informazioni circolano. Le relazioni del governo sull'export di armamenti sono alla portata di tutti, nonostante siano complicate. L'informazione televisiva e mediatica in genere, arriva. Certo, ci sono media schierati da una parte e schierati dall'altra e, anche alcuni che cercano di avere una certa imparzialità, per quello che può essere, ma comunque tutti offrono una rappresentazione della situazione che è sovrapponibile con quella che proviene dal gruppo di esperti nominato dall'ONU, cioè della più grande catastrofe umanitaria dal 1946 ad oggi.
Questa è la realtà con cui ci stiamo confrontando: ciò di cui parlava la ricercatrice yemenita nel video che abbiamo visto. E' una questione davanti agli occhi di tutti, non ci sarebbe neanche bisogno di video come quello e invece, una sciagurata catastrofe artificiale viene mascherata sotto il concetto di difesa.
C'è un'idea di produzione, un'idea di economia, ineluttabile, come se si potesse fare economia solo in un unico modo: solo godendo dei benefici derivanti dalla distruzione portata in altri Paesi.
Il territorio e la popolazione del Sulcis-Iglesiente per molto tempo sono stati sfruttati.
Anche l' economia mineraria è stata un'economia di sfruttamento, aldilà di certe letture che parlano del periodo delle miniere come di un'epoca d'oro.
In realtà, si trattava anche allora di multinazionali che venivano a consumare il territorio, che adibivano al lavoro anche minori, che facevano lavorare minori donne e uomini in condizioni di scarso rispetto dei loro diritti, tant'è vero che nel Sulcis si sviluppano i primi scioperi dei lavoratori, repressi nel sangue dal governo italiano di allora. Se il sindacato fosse stato a guardare perché comunque non c'era una legge che vietasse il lavoro minorile in quel momento Se fosse stato a guardare come sembrerebbe che voglia fare adesso, non sarebbe cambiato niente. Invece non si può stare a guardare di fronte a situazioni del genere. Il discrimine non può essere il rispetto formale della legge, il discrimine è la dignità dell' uomo.
Quando la dignità dell' uomo è calpestata, il sindacato alza la testa e dice no!
Io sono iscritto alla CGIL. Mi sono iscritto a questo sindacato perché, pur venendo da una formazione in qualche modo diversa da quella da cui ha origine la CGIL, cioè da una formazione cristiana-cattolica, ho riconosciuto però nei principi ispiratori di quel sindacato, nel suo statuto, molti dei miei valori. Penso prima di tutto alla solidarietà con i lavoratori e con i cittadini di tutto il mondo. Ma come possiamo pensare che dei lavoratori nel Sulcis possano creare delle cose, degli oggetti per distruggere la vita di altri lavoratori, di altre famiglie, anche se questi sono degli sconosciuti, sono lontani, sono di etnia diversa dalla nostra?
Tutto questo nel DNA della CGIL e del cristianesimo non esiste.
Non è compatibile. Quindi, capisco le posizioni dell'amico Emanuele (Madeddu – segretario FILCTEM-CGIL Sud-Sardegna) che è di fronte ad una situazione difficile, in cui è necessario coniugare delle esigenze giustissime di tutela e promozione dei livelli occupativi che provengono dal territorio. E' chiaro che attorno alla difesa di quell'esigenze si coagula anche il consenso dei lavoratori verso il sindacato - lo dico in maniera trasparente: è necessario mantenerlo questo consenso, non lo voglio etichettare come qualcosa di negativo. E' necessario perché altrimenti le istanze dei lavoratori non potrebbero essere rappresentate in maniera in maniera adeguata.
Però questo consenso va coagulato non soltanto intorno all'esigenza di lavoro ma intorno alla necessità di un lavoro degno, sostenibile per l' ambiente, pacifico, duraturo.
Queste caratteristiche, il lavoro nella fabbrica delle bombe non le ha e perciò lo possiamo rifiutare tranquillamente, pur essendo sindacalisti. Quel lavoro lì non è accettabile. E' da riformare, da convertire, da riconvertire.
Quando il Comitato parla, appunto, di riconversione e sceglie di inserire questo obiettivo anche nel proprio nome, non intende solamente dire che vuole promuovere la riconversione industriale di quello stabilimento - certo questo sarebbe un bel risultato - però in realtà noi crediamo che sia necessaria una riconversione del modello economico del territorio, che non può essere ancora un modello di sfruttamento - che sia, questo sfruttamento, di tipo locale o di tipo remoto.
Non possiamo produrre ricchezza – e poi bisogna vedere cosa è questa ricchezza, quantificarla in qualche modo, per scendere sul terreno - non possiamo produrre ricchezza o perlomeno un certo livello di benessere per alcune famiglie, pensando che quel benessere si possa basare sullo sfruttamento di un territorio come il nostro, per quanto lontano sull'annientamento di migliaia di persone come noi.
Dicevo all'inizio che ci sarebbe qualcosa da da smascherare e altro da registrare.
Purtroppo devo dire, caro Emanuele che c'è da registrare una strana convergenza oggi.
Cioè, chi ci è venuto a dire che in qualche modo è solo il rispetto della Legge il punto di riferimento ma sottintendendo, non la Legge nei suoi principi, la legge nella sua ratio ma la legge nel modo in cui viene applicata secondo una prassi che nel tempo è stata adottata, chi è venuto a dirci questo sono stati l'On. Guido Crosetto, di Fratelli d'Italia, l'On. Di Stefano dei cinquestelle e, Emanuele Madeddu della CGIL! Ma dove siamo finiti?
Sembra di essere di fronte a un film surreale. Tre realtà così diverse si ritrovano intorno ad un principio inaccettabile, almeno per me ma credo anche per la maggioranza della sala.
Comunque rimane importante dialogare. Procedere nel dialogo finalmente iniziato col sindacato che è poi una delle principali linee di di condotta, potremo dire di ricerca, del Comitato.
Questo dialogo l' abbiamo sempre cercato con tutti, continuiamo a cercarlo anche con chi ci rappresenta delle letture della realtà per noi inaccettabili.
Non ci si può fermare allo status quo, non si possono porre degli obiettivi irrinunciabili a distanze che in questa in questa stagione si possono considerare siderali. Come si fa a parlare di quaranta, cinquant'anni come ha fatto stamattina Di Stefano?
Abbiamo una politica che non vede al di là del proprio naso e poi quando ci sono obiettivi importanti li lancia nell'iperuranio.
La politica deve essere anche la pratica dell'utopia possibile.
L'utopia non è una cosa che, al limite si può anche ipotizzare, no, l'utopia è ciò che ci fa fare le cose concrete, ciò che fa in modo che si mettano uno dopo l'altro i passi per arrivare ad un certo risultato.
Questa è l'idea che abbiamo: trovare il modo di fare, insieme al sindacato, insieme alla politica, una roadmap che ci consenta di arrivare ad un risultato ma non tra quarant'anni!
Magari tra cinque, tra tre. In un periodo che non può sicuramente andare oltre una legislatura perché è inutile che un Governo italiano prenda impegni così così a lungo termine, lo sappiamo che c'è un'alternanza e che dopo cinque anni si cambia.
Quindi, meglio che non esagerino nel dire cose un po' assurde e invece è bene stare con i piedi per terra ma avendo obiettivi alti perché soltanto con obiettivi alti si possono raggiungere dei risultati buoni e validi veramente.


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